2004
FELICE CLEMENTE | sassofono tenore e soprano
MARCO BRIOSCHI | tromba e flicorno
RUDY MIGLIARDI | trombone
MASSIMO COLOMBO | pianoforte
VALERIO DELLA FONTE | contrabbasso
MASSIMO MANZI | batteria
LORIS STEFANUTO | percussioni
Secondo episodio del sassofonista milanese, dopo “Way out sud” Felice Clemente esce con il nuovo lavoro: “Inside me”, titolo introspettivo che nasconde tutto l’amore per la musica jazz in tutte le sue sfaccettature ritmiche del latin, del blues, dello swing e dell’afro, le componenti timbriche dell’insieme di più fiati e strumenti ritmici, l’alternanza tra il pieno sonoro e l’approccio più intimistico.
Il gruppo di musicisti che suonano con Clemente, scelti per affinità musicale e personale, si ritrovano in brani con una struttura armonica formale insolita e originale che risalta le qualità dei solisti e degli insiemi, dando personalità e forza d’urto.
Oltre ai 5 brani scritti dallo stesso Clemente, uno di Della Fonte ed uno di Colombo, in Inside Me troviamo Wynton di Sonny Rollins e Playing love di Morricone dal film La leggenda del pianista sull’oceano, omaggi a due grandi della musica contemporanea.
NOTE DI COPERTINA DEL DISCO “INSIDE ME”
A cura di Vittorio Franchini
Vi sono musiche che, magari inconsapevolmente, sembrano essere state create per gettare ponti, per rendere più agevoli le strade della comprensione, per attingere alla tradizione proiettandola in un prossimo futuro. Mi sembra il caso di questo “ Inside me”, orgoglioso progetto di Felice Clemente che, con questo disco, pare voler riassumere la storia del jazz, attraversarla, illuminandone alcune pagine, per poi stemperarla in altre dimensioni. Felice Clemente è un ottimo strumentista, capace anche, ed è un merito grosso, di dimenticare la tecnica che ha per cercare, piuttosto, la dinamica dei sentimenti. Lo si avverte subito ascoltando i suoi lunghi soli, dai quali affiora un altro problema, quello relativo al rapporto fra composizione scritta e composizione istantanea. Si avverte, nel soffio del suo strumento, il momento in cui il musicista si stacca dall’idea base per scalare le vette del diverso, per cercare nell’abisso del silenzio, l’appiglio giusto per continuare la salita. E con lui i suoi ottimi compagni di avventura, tesi a curare l’aspetto formale della composizione per poi abbandonarsi a quell’estro trasgressivo che si rifugia nel mistero dell’improvvisazione e che, in questo caso, ha come solido sostegno una sezione ritmica, guidata da Massimo Colombo e che si vale delle sottili invenzioni di Manzi, di Stefanuto, di Della Fonte, una sezione capace di rendere stabile tutta la struttura pur rischiando, pur battendo strade per nulla parallele, inserendosi così nel gioco dei solisti, per sostenerne al meglio i colori.
Qualcuno dei grandi del jazz, Gill Evans, se non sbaglio, diceva che, essendo dotato di poca memoria, era costretto ad improvvisare: una battuta, ovviamente, perché, al contrario, dato che nulla si ricava dal nulla, l’improvvisazione, e lo si evince da quanto vanno “ cantando” Clemente, Migliardi e Brioschi, si nutre del passato, lo rimastica, offre nuovi smalti, non tanto nella ripetizione, più o meno attiva, di una frase tipica di questo o quel maestro, piuttosto ricreandone le atmosfere, il nucleo lirico, l’intenzione che, in quel momento, e in quel solo preciso momento, affiora lungo il filo rosso di una personale poetica.
Un’ultima nota sulle composizioni: a parte un tema di Rollins ed uno di Morricone sono di Clemente, di Colombo e di Della Fonte, musicisti dotati di forti e singolari personalità. Eppure nel disco il loro diverso modo di scrivere diventa, ad un tratto, discorso unitario, linguaggio, quasi che le cellule melodiche, sia pure differenti, finiscano per coagulare attraverso le tante buone vibrazioni dell’impasto orchestrale, creando un tutto compatto, fluido che rivela lo sforzo del mettere insieme le parti, ma col risultato di far confluire scrittura e improvvisazione, l’una e l’altra integrata in una sorta di “ felice”, mi si passi il riferimento a Clemente, ricerca spontanea.